Nella relativa pagina web, Invitalia presenta lo strumento agevolativo “Resto al Sud” come “l’incentivo che sostiene la nascita di nuove attività imprenditoriali avviate da giovani nelle regioni del Mezzogiorno”. Ecco, con la creazione di tale incentivo i giovani sono stati ancora una volta al centro dei pensieri nel tavolo MI.S.E. e Invitalia, quest’ultimo il braccio operativo del Ministero con la sua ormai lunghissima esperienza nella gestione di strumenti agevolativi per le giovani imprese, ereditando l’ottimo lavoro compiuto da Sviluppo Italia.
Purtroppo spesso nel nostro paese invece di mantenere le best practices e imparare dagli errori del passato c’è la tendenza a mettere in discussione le best practices per provare dei nuovi errori. Nella fattispecie il disegno di legge di Bilancio 2019, trasmesso nei giorni scorsi alle Camere, amplia la platea dei beneficiari della misura Resto al Sud per il sostegno alla nascita di nuove imprese nel Mezzogiorno. E fino a qui non sembrerebbe nulla di male, ma andando a leggere nel dettaglio la vicenda ad uno sguardo attento presenta dei contorni a nostro avviso inquietanti.
Oltre a introdurre tra le attività economiche finanziabili quelle libero professionali, finora escluse insieme ad agricoltura e commercio, si è deciso di alzare l’età massima dei beneficiari da 35 a 45 anni, quindi di fatto snaturando una misura nata per aiutare i giovani ad iniziare il proprio percorso imprenditoriale, il tutto in una contingenza quale quella degli ultimi anni in cui all’atavica lentezza dei giovani italiani a “mettersi in moto” si è aggiunta la crisi economica che ha colpito soprattutto l’area Euro e con la quale quindi si sono accresciute le difficoltà sia di entrata nel mondo del lavoro che nella creazione di nuova impresa (in quest’ultimo caso in particolare difficoltà che si sono concretizzate nell’accesso al credito).
Ad ogni modo secondo i dati pubblicati da Eurostat dal 2012, nell’Unione europea, la proporzione di giovani di età compresa tra i 18 ei 24 anni non occupati né impegnati in un percorso di istruzione o formazione (N.E.E.T.) è diminuita da un picco del 17,2% all’attuale 14,3%, un dato simile ai livelli pre-crisi. Da noi la percentuale è decisamente più alta: un giovane italiano su quattro, il 25,7%, rientrava in questa categoria. Segno di una generazione che fa fatica a immettersi nel mercato del lavoro, anche riprendendo i libri in mano o seguendo percorsi formativi.
Allargando lo sguardo al resto dell’Ue, dietro l’Italia ci sono Cipro (22,7%), Grecia (21,4%), Croazia (20,2%) , Romania (19,3%) e Bulgaria (18,6%). Un tasso di N.E.E.T. superiore al 15% è stato registrato anche in Spagna (17,1%), seguito da Francia (15,6%) e Slovacchia (15,3%). La percentuale più bassa di N.E.E.T. di età compresa tra 18 e 24 anni è stata registrata nei Paesi Bassi (5,3%), davanti a Slovenia (8,0%), Austria (8,1%), Lussemburgo e Svezia (entrambi 8,2%), Repubblica ceca (8.3 %), Malta (8,5%), Germania (8,6%) e Danimarca (9,2).
Chi è attualmente al Governo, e in particolare a tirare le fila del Ministero dello Sviluppo Economico, è il Movimento Cinque Stelle che alle ultime elezioni politiche di marzo 2018 ha fatto il colpaccio principalmente per la generazione di mezzo, quella che va dai 35 ai 44 anni, quella che probabilmente più di tutte ha risentito della crisi o tramite i licenziamenti nel caso di lavoro dipendente o mediante fallimenti, chiusure di attività o mancata apertura nel caso di imprenditori.
Ragion per cui chi è stato premiato da una fetta consistente di elettorato a tale fetta cerca di dare soluzioni, non è un caso quindi che quest’allargamento dell’agevolazione “Resto al Sud” anche agli under 46 sia stato sponsorizzato dal Ministero presieduto da Luigi Di Maio, proprio per dare ascolto alle istanze dei propri elettori.
Se da un lato appare come una scelta meritevole e sicuramente coerente rispetto alle aspettative di chi li ha votati, va inevitabilmente guardato l’altro lato della medaglia, e cioè l’opportunità di snaturare una misura che mirava a invertire la tendenza dei nostri giovani a prendersela con comodo (perdonatemi la brutalità) rispetto ai pari età dell’UE e quindi incentivandoli con misure quali “Resto al Sud” per gli under 36 ma anche “SelfiEmployment” per gli under 30 ad essere pragmatici e quindi dar loro la possibilità concreta di dimostrare le proprie qualità entrando nel mercato del lavoro facendo impresa.
Di fatto la modifica a questo strumento, così come risultante dalla proposta contenuta nella Legge di Bilancio 2019, si sostanzia in un furto, quello di una generazione (i nati dal 1973 al 1983) che ha complessivamente fallito (non sempre per demeriti altrui) ai danni di quella nuova (i nati dal 1984 al 2000), che come tutte le giovani generazioni ha il diritto di provare, magari di sbagliare, e come è stato fino ad oggi di avere a disposizione quegli strumenti e le relative risorse finanziarie deputati a loro.
E’ vero, con l’intervento sull’età anagrafica si punta a offrire un’opportunità a soggetti che hanno maturato competenze professionali significative nel corso della loro esperienza lavorativa in condizioni di precariato o di lavoro sommerso/irregolare, ma anche persone espulse dal mercato del lavoro a causa di crisi aziendali e di settore e con grandi difficoltà di ricollocamento. Ma se è per questo allora non si capisce perché non allargare la misura anche agli over 45, dato che ormai così lo strumento “Resto al Sud” è di fatto snaturato, e dato che chi maggiormente risente dell’esclusione dal mondo del lavoro sono proprio gli over 45 e over 50 che le imprese non vogliono più e che si trovano in un limbo dal quale difficilmente uscire.
Riteniamo la soluzione ideale sarebbe stata quella di mantenere inalterato lo strumento per quello che era: nel 2018 in 8 mesi sono nate 1.800 imprese nel Mezzogiorno grazie a “Resto al Sud”, il tutto nella direzione, auspicata, di anticipare i tempi di ingresso nel mondo del lavoro da parte dei giovani italiani rispetto ai coetanei dell’U.E.
La soluzione per i soggetti che beneficerebbero dell’allargamento con la presente Legge di Bilancio 2019 al vaglio delle Camere riteniamo sarebbe uno strumento ad hoc, con limiti di età (ad esempio 36/55) e con esperienze lavorative certe e dimostrabili (lavoro regolare e quindi non complice della fortissima evasione fiscale nel nostro paese) dalle quali porre le basi per un rientro nel mondo del lavoro che meriti un’incentivazione pubblica.
Così com’è c’è il rischio, come detto in precedenza, di mettere in discussione le best practices per provare dei nuovi errori.
(Giuseppe La Rosa, Info Finanza Agevolata)
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